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lunedì 14 maggio 2007

Il 'Demone reazionario' di Alessandro Piperno


Corriere della Sera: I due Demoni Sartre e Baudelaire «nichilisti e reazionari»

Alle radici segrete di un rapporto possibile

Nel 1947, Jean-Paul Sartre era la stella più brillante nel firmamento della cultura parigina. Inesausto grafomane, il guru dell'esistenzialismo francese preparava libri memorabili come il Che cos' è la letteratura? e le Riflessioni sulla questione ebraica. Ma è un altro il volume che Alessandro Piperno ha voluto ora riprendere in mano, facendone la materia di un suo proprio saggio: è la «biografia emotiva» (come Piperno la definisce) che il Sartre del ' 47 dedicò a Charles Baudelaire. Il Baudelaire di Sartre è stato spesso considerato poco più che una perfida stroncatura. Stroncatura non tanto dell' opera di Baudelaire, quanto dell' autore: ritratto di un uomo ammammato, nevrotico, sessuofobo, che interessava Sartre non già come poeta, ma come rappresentante della sua classe sociale, una borghesia immancabilmente conservatrice, pusillanime, prepotente... In poche parole, il Baudelaire è stato spesso liquidato come un libro visibilmente fazioso e inutilmente velenoso. Tutt' al più, è stato identificato come un segnale premonitore del passo che Sartre si apprestava a compiere, dagli affanni dell' esistenzialismo agli inganni dello stalinismo.

Studioso di letteratura francese oltreché romanziere di successo, Piperno ne propone oggi una lettura diversa: stando alla quale il Baudelaire va considerato un libro particolarmente importante per capire Sartre, quasi un libro decisivo. Secondo Piperno, la perfida stroncatura rappresentava infatti l' esito di una vicinanza più che di una lontananza. E di una fascinazione più che di un rigetto.

Beninteso, Sartre «odiava» Baudelaire. Ma lo odiava non perché si riconoscesse totalmente diverso da lui, agli antipodi del suo modo di pensare e di sentire. Sartre odiava Baudelaire perché vedeva in lui delle cose che temeva di scoprire in se stesso.

Lo odiava perché aveva il terrore di assomigliargli. Con una bella metafora letteraria, Piperno sostiene che Sartre guardava a Baudelaire un po' come Thomas guarda al fratello Christian nella saga familiare di Mann, I Buddenbrook. «Thomas non dimentica mai che Christian è l'uomo che lui stesso avrebbe potuto essere se avesse seguito il suo naturale istinto alla dissoluzione, così come non dimentica che la sua ambizione alla produttività è nata al solo scopo di contrastare quell'istinto naturale a dissiparsi». Analogamente - interpreta Piperno - Sartre riconosce Baudelaire «come si riconosce un gemello»: «leggerlo gli dà la nausea che procurano le cose eccessivamente familiari» (e qui sembra di sentire anche il Piperno narratore, l'autore di quella nauseata saga familiare che è il romanzo Con le peggiori intenzioni).

Sia chiaro, Piperno non arriva a fare di Baudelaire e Sartre un tutt'uno, due gemelli siamesi. Acutamente, egli nota come entrambi, sia il poeta dell' Ottocento che il filosofo del Novecento, avessero l'abitudine di assumere sostanze stupefacenti: ma Sartre si riempiva di eccitanti, mentre Baudelaire ingurgitava allucinogeni!

Gli eccitanti servivano a Sartre per garantirsi un massimo di lucidità, così da poter lavorare alla rivoluzione - esistenzialista o comunista - cui si sentiva votato dal destino. Gli allucinogeni servivano a Baudelaire per conseguire un massimo di obnubilamento, così da riuscire niente più che un egotistico rivoltoso, sprezzante di ogni rivoluzione passata, presente o futura. Nondimeno, Piperno ritiene che Baudelaire e Sartre fossero gemellati da una fondamentale affinità: la tentazione del nichilismo. E ritiene che Sartre fosse il primo a saperlo.

Che cosa aveva fatto Baudelaire attraverso la sua polemica pubblica e privata, sbeffeggiando continuamente i valori degli illuministi, gli slogan dei liberali, le pratiche dei filantropi, le illusioni dei rivoluzionari, se non partecipare alla preistoria dell' esistenzialismo?

E che cosa aveva fatto Baudelaire attraverso la sua teologia negativa, dando a Dio il volto del Nulla, se non anticipare di un secolo la smagata riflessione che Sartre stesso avrebbe proposto con L' Essere e il Nulla?

Perciò il Sartre del 1947 - che studiava da stalinista - aveva bisogno di liberarsi di Baudelaire una volta per tutte, facendolo a pezzi. Perché agli occhi di un marxista come si deve, il nichilista nasconde in sé un avversario più insidioso ancora dell' odiato borghese: nasconde il demone reazionario. E questo demone, Sartre temeva che i suoi nuovi amici comunisti potessero riconoscerlo in lui, o almeno nel suo passato di esistenzialista. Anche la sua anima era stata abitata dal demone reazionario: il demone di chi sa che viviamo soli nel mondo, che l' infinito progresso è un' infinita menzogna, e che l'unica luce ci viene da un Dio altrettanto misericordioso che finto.

Al di là delle loro opere, Piperno riscontra nelle esistenze di Baudelaire e Sartre numerose corrispondenze biografiche e psicologiche che ne spiegano la vertigine nichilistica: un padre perduto in tenera età, una madre instabile e possessiva, un patrigno subentrato nel cuore dell'infanzia, una rivolta precoce contro le proprie origini borghesi, il rifugio nella letteratura come scelta totalizzante, la diffidenza verso il prossimo come inquietudine metafisica. E inoltre - aggiunge Piperno - «l'orrore per la paternità». Quest'ultimo è forse l'unico punto dove la sua interpretazione del Baudelaire appare scarsamente condivisibile. In effetti, non sembra esatto rappresentare Sartre come qualcuno che abbia aborrito la paternità al pari del suo «vile gemello ottocentesco». Certo, l'uno e l'altro sono morti senza figli naturali. Ma a differenza dell' opera letteraria di Baudelaire, l'opera di Sartre (dal romanzo al teatro) risulta affollata di giovani personaggi alla ricerca di padri putativi. E la vita vissuta di Sartre risulta affollata di giovani in carne e ossa, che il filosofo volle trattare come figli adottivi (da Jean Genet ad André Gorz, fino a Benny Lévy). In qualche modo, l'intero sistema etico di Sartre ruota intorno alla funzione sociale della paternità: una paternità tanto più tollerabile e necessaria, quanto più sganciata dai lacci della natura e consegnata alle risorse della cultura. Non a caso, pagine eccezionalmente intense del suo Baudelaire accusano il poeta maledetto di avere «per tutta la vita ricercato l'infecondità»: di essersi mantenuto «totalmente sterile», rifiutando «persino la paternità spirituale». Almeno in questo -nell'investimento su una discendenza simbolica - Sartre si sentì completamente diverso da Baudelaire. Uomo del futuro anziché uomo del passato, officina di storia anziché deposito di memoria.

Sergio Luzzatto

Nel 1947 uscì in Francia un saggio su Baudelaire di Jean-Paul Sartre, libro tra i più controversi e aspramente stroncati dalla critica del XX secolo. Alessandro Piperno, diffidando di quel giudizio trasformatosi oramai in luogo comune, ha tentato di seguire le orme lasciate da quel testo, con un doppio intento: anzitutto, provare a svolgere le intuizioni che Sartre ha abbozzato senza approfondire per poi fare luce sul misterioso rapporto di contiguità e diffidenza che lega Baudelaire a Sartre

Alessandro Piperno
è nato a Roma nel 1972. Insegna Letteratura francese presso l’Università di Tor Vergata a Roma. È redattore di «Nuovi Argomenti». Nel 2000 ha pubblicato il saggio Proust antiebreo (Franco Angeli). Il suo romanzo d’esordio Con le peggiori intenzioni (Mondadori, 2005) è stato un autentico successo letterario.

Per info.: Caterina Arcangelo – ufficio stampa Gaffi Editore – cell 3281314838–

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