Giornalista, autore dell’unica biografia autorizzata sul Dalai Lama pubblicata in Italia, esperto di culture indo-tibetane, l’ex presidente dell’Associazione Italia Tibet Piero Verni, di fronte alla repressione cinese, non ha dubbi: la massima autorità spirituale del Tibet ha perso la presa su una parte del suo popolo. Si è inventato un “dialogo che non esiste” e ha avallato, per legittimarsi agli occhi degli “occupanti”, prima l’ingresso di Pechino nel Wto e infine il no al boicottaggio delle Olimpiadi.
Non sono ingenerose le sue critiche?
Senta: intellettuali del calibro di Bernard Henry Levi, lo stesso Sarkozy, il presidente del parlamento europeo Hans Gert-Pottering hanno apertamente dichiarato di prendere in considerazione l’ipotesi del boicottaggio. E, di fronte a tutto questo, che cosa fa il Dalai Lama? Si trasforma nel più tetragono assertore delle Olimpiadi. Frena le rivolte. Un drammatico paradosso. Dal punto di vista giornalistico la notizia è proprio questa: Tenzin Gyatso, più che organizzarla, ha “subito” la rivolta tibetana.
Anche Sergio Romano, su Panorama, sostiene che il Dalai Lama è lontano dalle aspirazioni indipendentiste del suo popolo.
La verità è che la Marcia per il ritorno in Tibet partita il 10 marzo da Dharamsala (in India ndr) e considerata il detonatore della protesta si è subito posta su un terreno sideralmente distante da quello del governo in esilio. Non a caso lo stesso Dalai Lama non l’ha nemmeno citata nel suo annuale discorso del 10 marzo. In pratica, ha dato l’imbarazzante impressione di voler discolparsi agli occhi dei cinesi, anziché denunciare la repressione di questa Tienanmen sorda e muta che si sta consumando
Come è nata l’insurrezione di Lhasa?
Attraverso il tam tam, il passaparola, l’entusiasmo suscitato dalla Marcia organizzata dalle cinque organizzazioni della diaspora in India. E in modo del tutto spontaneo. Si capisce: il maglio repressivo cinese ha distrutto qualsiasi embrione di organizzazione tibetana in patria, come è accaduto qualche anno fa alle Tigri del Tibet.
Lo Youth Congress, la più radicata e radicale organizzazione non governativa dei tibetani della diaspora, prende in considerazione l’ipotesi della lotta armata?
Fino ad ora assolutamente no, come dimostra il programma tutto gandhiano della Marcia verso il Tibet. Certo, se non si apriranno spiragli di cambiamento significativo, temo che tutto potrà diventare possibile, anche le scelte più estreme. In linea di massima non è in discussione la scelta nonviolenta quanto la richiesta di Tenzin Gyatso di semplice autonomia politica. Perché ora, dopo vent’anni di inutile ricerca di un dialogo, i tibetani si sono stufati e pongono subito un problema di indipendenza nazionale.
Eppure la Cina accusa la “cricca del Dalai Lama”. Perché tagliare i ponti con l’unico interlocutore possibile?
Lo devono demonizzare, per giustificare il loro no a qualsiasi trattativa. La verità è che i governanti cinesi non vogliono dialogare con nessuno, né con i miti praticanti della Falun gong, né con le minoranze etniche come gli uiguri. Chiudono la porta a qualsiasi confronto perché considerano la dissoluzione dell’impero sovietico come il risultato della politica di dialogo con i dissidenti di Gorbaciov. Il loro obiettivo, del resto, è chiaro: fare della Cina una Singapore di un miliardo e trecentomila persone.
Ovvero?
Singapore è una realtà avanzatissima e dinamica dal punto di vista di vista economico ma con il massimo del controllo sociale. Pechino pensa, nonostante la sua retorica sulla “società armoniosa” e sul “socialismo di mercato”, che il massimo di libertà economica debba corrispondere al massimo dell’autoritarismo.
Che cosa rappresenta il Tibet per la Cina?
C’è lo sfruttamento intensivo di alcune risorse tra cui il legname. Ma non va nemmeno dimenticato che questa zona potrebbe diventare una straordinaria giostra turistica interna. Il turismo estero, del resto, è lì ormai un fenomeno minoritario. Il Tibet per i cinesi, insomma, è un po’ quello che era il Kashmir per i turisti indiani. E anche sul problema della colonizzazione etnica del Tibet voglio dire una cosa…
Dica….
I sei milioni di cinesi che obtorto collo vivono in Tibet non sono nulla, dal punto di vista demografico, per la Cina. In Tibet i coloni hanno un turn over, stanno lì in maggioranza per sette anni, poi tornano a vivere nella madre patria. Vanno lì per arricchirsi, possono vivere come cittadini di prima classe, con una serie di privilegi che i tibetani si sognano.
C’è qualche similitudine tra le rivolte in Birmania e quelle in Tibet?
Sono due situazioni non paragonabili. I generali birmani, di cui penso tutto il male possibile, hanno un livello di sofisticazione repressiva infinitamente inferiore a quello dei cinesi. Una Aung San Suu Kyi tibetana non sarebbe certo agli arresti domiciliari. Sarebbe morta o starebbe marcendo nel circuito penitenziario fuori Lhasa
Previsioni?
Nessuna. Non ricordo un cosiddetto china watcher che abbia previsto Tienanmen. Ho l’impressione che il livello di esasperazione tra i tibetani sia tale che uno stato d’agitazione sotterraneo continuerà, accanto alla repressione, fino alle Olimpiadi. Veda, non ho simpatia per le burocrazie occidentali ma, dato che bene o male devono tener conto dell’opinione pubblica, qualcosa si sta muovendo. E l’Eliseo, fino a ieri silente, di fronte alle manifestazioni di solidarietà in Francia, è arrivato a non escludere persino il boicottaggio delle Olimpiadi. Ripeto: non ho fiducia nei politici, ma nella capacità della stampa e delle opinioni pubbliche, quello sì.
Sposato con una tibetana, Piero Verni, su olistica.tv cura un blog dedicato alla situazione politica tibetana. Sulle società e sulle tradizioni dell’Himalaya, dell’India e del Tibet ha anche scritto diversi libri, tra i quali Vivere in India (Milano 1977); Guida all’India (Milano 1973, 5 edizioni); Dalai Lama. Biografia autorizzata (Milano 1990, nuova edizione aggiornata e ampliata Milano 1998); Tibet: le danze rituali dei lama (Firenze 1990), Mustang, ultimo Tibet (Milano 1994). È autore di numerosi documentari, tra i quali: Ladak: Feste di inverno nel piccolo Tibet; Mustang, ultimo Tibet; Tibet, cuore dell’Asia; Il mio Tibet.
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